Violenza e ignoranza coperta dall’anti-razzismo. “black lives matter"
Montanelli quando è morto era l'eroe della sinistra italiana, martire - con Biagi e Santoro – della libera informazione
Qualche anno fa in un ristorante di Padova un giovane cameriere, che voleva cercare di essere politicamente corretto, mi offrì un amaro “Montenero”; perché dire “negro” gli sembrava troppo brutto. A raccontarlo sembra quasi una barzelletta, ma non è da escludere che qualcuno prenda seriamente in considerazione l'idea di cambiare il nome del celebre liquore, vista la piega che sta prendendo la caccia al razzista iniziata in America dopo la morte di George Floyd e prontamente scimmiottata in tutto il mondo. Un crescente delirio collettivo che sta trasformando la seria riflessione sulla necessità di demilitarizzare le forze di polizia in una demenziale caccia alle streghe; pratica alla quale, d'altronde, gli americani sono notoriamente molto appassionati.
Vale la pena di ricordare che quel tipo di trattamento per immobilizzare qualcuno durante un arresto è in realtà una prassi piuttosto comune in tutto il mondo. E' pericoloso – perché si rischia il soffocamento – ma proprio per questo spesso il soffocamento viene simulato dai criminali per liberarsi dalla presa.
Nei giorni successivi, anziché un'ondata antirazzista contro i poliziotti, ci fu un'ondata razzista contro gli immigrati. E se allora a strumentalizzare la morte di David Raggi erano state le destre, che avevano puntato il dito contro l'accoglienza degli stranieri, oggi a strumentalizzare quella di George Floyd – in piena campagna elettorale americana – ci ha pensato la sinistra, cercando di trovare in Donald Trump la causa di una presunta nuova ondata di razzismo.
Sia chiaro che - esattamente come era stato con il MeToo – la riflessione proposta dal movimento Black Lives Matter è sacrosanta: il fatto che gli Stati Uniti abbiano avuto per otto anni un presidente nero non deve fare abbassare la guardia sul problema del razzismo, pensando che appartenga al passato. La scrittrice afroamericana Nikole Hannah-Jones ha appena vinto il premio Pulitzer per un articolo – pubblicato lo scorso agosto sul New York Times – dove spiega come all'indomani della guerra di secessione fosse stato raggiunto un tale livello di integrazione che addirittura degli ex schiavi avevano sostituito in Parlamento i loro padroni. La segregazione – quella superata solo negli anni '60 grazie ai Kennedy e a Martin Luther King – fu introdotta in realtà tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, proprio in seguito a nuove ondate di razzismo causate dall'emancipazione degli ex schiavi.
Secondo DeNeen L. Brown del National Geographic, queste morti sono state la goccia che ha fatto traboccare il vaso di 400 anni di oppressione. Quello che è discutibile, però, è che il razzismo possa essere superato non con politiche di integrazione sociale, ma con un'ideologia anti-razzista fatta di contrapposizioni, manifestazioni di piazza, retorica, strumentalizzazioni, violenze, incendi, saccheggi e liste di proscrizione, fino ad arrivare alla censura di grandi classici del cinema come Via col vento (colpevole di sposare il punto di vista dei sudisti durante la guerra di secessione) e atti vandalici ai danni di statue di personaggi razzisti, o anche semplicemente discutibili per le più disparate ragioni: si va dal grande eroe antinazista ma razzista Winston Churchill al padre di una fratellanza universale come quella dei Boy-Scout - Robert Baden-Powell - sospettato di simpatie naziste.
Se vent'anni fa tutto il mondo si era indignato di fronte alla distruzione delle statue di Buddha da parte dei musulmani talebani, oggi la furia iconoclasta dei talebani dell'antirazzismo infuria in tutto il mondo: i belgi hanno preso di mira le statue di Leopoldo II (responsabile di immani atrocità in Congo), gli inglesi vogliono fare fuori non solo quelle dei commercianti di schiavi ma anche quelle del più celebre primo ministro e del fondatore dello scoutismo, mentre gli americani – che devono spararla sempre più grossa di tutti - se la prendono addirittura con Cristoforo Colombo; che sicuramente non era uno stinco di santo ma col razzismo non c'entra proprio niente.
Certo non ricordiamo questo per giustificare lo schiavismo (che peraltro per millenni nessuno ha messo in discussione) ma solo per ricordare che la storia è complessa e l'umanità non si può dividere in buoni e cattivi. E che – come cantava Michael Jackson, primo cantante nero ad uscire dall'ambito della black music e ad essere idolatrato anche dai bianchi – non si può cambiare il mondo senza partire dall'uomo nello specchio.
In Italia, invece, i benpensanti della sinistra non hanno trovato di meglio da fare che concentrarsi sulla statua di Indro Montanelli, additato come fascista, razzista e pedofilo.
Così, queste anime belle, sembrano aver scoperto solo oggi che il paladino dell'antiberlusconismo a venticinque anni aveva comprato, sposato e stuprato una ragazzina eritrea di dodici anni; e che di questa cosa (che rientrava negli usi e costumi del tempo e del luogo) non si era mai pentito.
“Dei mille motivi per cui imbrattare la statua di Indro Montanelli è solo un gesto da vigliacchi – ha scritto invece Enrico Mentana - ce n'è uno che non andrebbe mai dimenticato: quel monumento sorge nel luogo in cui Montanelli fu colpito da un commando delle Brigate Rosse nel 1977”.
Marco Travaglio – che del grande giornalista è una creatura – nella difesa del suo ex direttore chiama invece in causa il contesto storico, spingendosi a sostenere che accoppiarsi con una bambina africana era addirittura un atto anti-razzista. Ignorando, evidentemente, che essere razzisti non significa solo schifare gli africani, ma anche considerarli una razza inferiore da dominare. O pensa forse – Travaglio – che i clienti delle prostitute nigeriane siano cittadini impegnati nell'integrazione sociale di queste nuove schiave?
No, il contesto storico non assolve Montanelli. E nemmeno Colombo, Churchill, Leopoldo II o Baden-Powell. Il punto è un altro: il punto è che non si può ridurre una persona ad un singolo gesto o un aspetto della sua vita e giudicarlo – in base a quello – indegno di rispetto e memoria.
Ma Cristoforo Colombo non è commemorato certo come schiavista, né a Indro Montanelli sono stati dedicati dei giardini in qualità di razzista e stupratore. E se si processa e condanna ogni personaggio storico in base ai propri peccati, chi si salverà?
Certo non Giuseppe Garibaldi, che di massacri sulla coscienza ne ha più di Colombo, né tantomeno Pierpaolo Pasolini – anche lui pedofilo e violento – per non parlare dei crimini efferati commessi dalle brigate partigiane che dovrebbero portare, secondo questa logica, a riscrivere l'intera storia della Resistenza. Roma, poi, dovrebbe essere completamente rasa al suolo, visto che non c'è monumento che non sia riconducibile all'impero romano, al fascismo o a papi corrotti.
Quanto ai film, il rogo delle pellicole politicamente scorrette dovrebbe inghiottire tre quarti della storia del cinema, a cominciare da Nascita di una nazione di David W. Griffith, capolavoro imprescindibile e al tempo stesso pellicola così razzista da aver ispirato la rinascita del Ku Klux Klan e costretto il regista a scusarsi girando un altro grande capolavoro dedicato all'intolleranza: Intolerance, appunto.
Ma il vecchio negro disse allor: “Oh... bongo bongo bongo / Stare bene solo al Congo /
Non mi muovo no no / Bingo bango bengo / Molte scuse ma non vengo / Io rimango qui /
No bono scarpe strette / Saponette treni e tassì / Ma con questa sveglia al collo / Star bene qui”.
Damnatio memoriae dunque, per Nilla Pizzi ed esilio per Renzo Arbore e Sofia Loren?
Che dire poi di Il pianto di Zambo: “Quando io vedere buccia di banana, io pensare sempre ad Africa lontana / pensare a giungla nera con la tigre e la pantera e pensare ancor di più al mio coso nel Tucul / il Tucul è una capanna dove Zambo fare nanna, il Tucul è un antro tetro dove entrare nel di dietro”.
Né potrebbero salvarsi i Watussi di Edoardo Vianello - parodia dei Tutsi, “altissimi negri” del Ruanda – la padanissima Wacaputanga (“gh’era la tribù dei Wahha Put-hanga. L’era ona tribù de negher del menga”) e nemmeno Negro di Marcella Bella o King of Bongo dei Mano Negra. Per non parlare di El negro Zumbon cantata da Silvana Mangano in una scena di Anna di Alberto Lattuada, citata addirittura da Nanni Moretti in Caro Diario, che – vedendo il film in televisione, anziché indignarsi e chiedere il rogo per la pellicola si mette addirittura a fischiettare e ballare!
“Impostare un risciacquo in lavatrice della Storia e della coscienza eliminando film, ritirando dolci dai supermercati o abbattendo statue è ridicolo” ha scritto il critico cinematografico Enrico Magrelli: “La storia va studiata e insegnata. Cancellarla è ipocrita e inutile”.
Resta il dubbio che possa avere un qualche interesse a studiare la storia chi è in cerca solo semplificazioni e di un nemico da attaccare per sentirsi dalla parte dei buoni, senza fare la fatica nemmeno di accendere il cervello.